Simoni Marcello - 2013 - La maledizione dello scarabeo by Simoni Marcello

Simoni Marcello - 2013 - La maledizione dello scarabeo by Simoni Marcello

autore:Simoni Marcello [Simoni Marcello]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2015-01-08T22:00:00+00:00


4

Una faccia sotto il ghiaccio.

Aveva gli occhi chiusi, i capelli scarmigliati simili a radici.

Una contrazione delle guance e gli occhi si aprirono, pupille bianche come quelle di un pesce bollito. Le labbra boccheggiavano.

Due mani iniziarono a graffiare contro la lastra di ghiaccio. La destra mancava di tre dita, scivolando verso il basso tracciò una scia rossastra…

Baràba si svegliò con un nodo di terrore che gli stringeva la gola. Non riusciva a parlare né a vedere, si sentiva sprofondare in un abisso di gelo. Sbraitò fra grovigli di coltri con le braccia protese nel buio, incapace di percepire le sensazioni del tatto. Poi due mani callose si insinuarono nel delirio e lo abbrancarono per le spalle, scuotendolo con forza finché le sue pupille non furono abbagliate dalla luce.

Dentro la luce, la voce di Busgnàk: «Stai bene?».

Baràba scattò in piedi, inspirò con affanno e massaggiò le palpebre per scacciare il ricordo di immagini terribili, ma così facendo si accorse di avere gli occhi insolitamente piccoli e gelatinosi… Come quelli di un pesce bollito! Fugò quel pensiero e cercò conforto nella luce che l’aveva guidato fuori dalle tenebre. Scorse soltanto il baluginio della lucerna. Era notte fonda.

«Stai bene?», ripeté Busgnàk.

Baràba fece cenno di sì, ancora incerto di poter riuscire a parlare. In verità non stava affatto bene. Era spaesato, incapace di controllare i propri sensi, come se si fosse risvegliato nel corpo di un altro. Soprattutto, udiva dentro di sé l’eco di una voce strascicata, incomprensibile, che suscitava in lui un forte senso di colpa. Quello stato d’animo lo riportò ai momenti della sua infanzia, quando sentiva l’urgenza di confessare le marachelle alla madre. Era sempre portato a farlo, nonostante la consapevolezza della punizione.

«È quasi mezzanotte», lo informò il compagno, meno brusco del solito. «Ghitàn e Pantalon sono rientrati. Tocca a noi».

Parole udite centinaia di volte, eppure nel loro timbro vibrava un’apprensione che le distingueva dalle solite.

«Ho capito, sto bene», lo rassicurò Baràba, cercando di convincere anche se stesso. Uscì dalla camera da letto, tormentato da un senso di arsura alla gola. Raggiunse la cucina e bevve d’un fiato mezza bottiglia d’acqua. Gli altri due guardiani dovevano già dormire nella stanza accanto. I turni di notte sfinivano, specie d’inverno. Infilò gli stivaloni di gomma, la giacca pesante dell’uniforme e uscì dal casone, senza rendersi bene conto delle proprie azioni. Come un sonnambulo.

Fuori era buio pesto, il freddo entrava nelle ossa. Busgnàk seguì il compagno, credendolo diretto verso la batäna attraccata a pochi passi dall’appostamento, invece lo vide entrare nella rimessa e uscirne con in mano un badile. «Dove vuoi andare con quel palàt?», gli chiese.

Baràba trasalì. Gli era appena parso di scorgere qualcosa davanti a sé, e fece di tutto per ignorarlo. Senza pensare, gettò il badile sulla barca e salì a bordo. «Stanotte conduco io», disse. Attese che il compagno sciogliesse gli ormeggi e accendesse il lume appeso a prua, una fasalë a carburo, poi trafisse il ghiaccio con il puntale del paradàl e sospinse la batäna verso l’origine delle sue ossessioni.



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